sábado, 15 de enero de 2011

LE ICONE COME IL CANTO GREGORIANO

L'attenzione della Chiesa di Roma verso le Chiese dell'Oriente è una costante della sua storia, non affievolita dallo scisma del 1054. In essa ben si inserisce, come un segno di particolare attenzione, la collezione di immagini sacre - espressione della teologia, della religiosità e dei canoni estetici del cristianesimo greco-bizantino e slavo - che in più riprese, attraverso un lungo arco di tempo, sono entrate a far parte delle raccolte museali vaticane.

Il primo nucleo di trenta Icone venne esposto nel 1762 nel Museo Sacro della Biblioteca Apostolica, regnando Papa Benedetto XIV Lambertini. In seguito altri nuclei collezionistici, databili fra XV e XIX secolo, si aggiunsero al gruppo originario. Oggi la Sala delle Icone, diciottesima della Pinacoteca, ospita centocinquanta pezzi di varia provenienza geografica e culturale:  la Grecia postbizantina, i Paesi balcanici, la Russia, l'area veneziana e dalmata, il Vicino Oriente.

IL COSMO RACCONTATO DALLA BIBBIA

È facile ricostruire a livello fenomenologico la concezione cosmologica biblica che adotta modelli delle civiltà dell'antico Vicino Oriente. La struttura di fondo è costituita dalla piattaforma terrestre sulla quale si leva una gigantesca cupola, il "firmamento" (raqia'). Sopra di essa freme l'oceano celeste delle acque piovane, mentre sotto la superficie terrestre s'agitano le acque caotiche dell'oceano inferiore infernale, che circondano le "fondamenta della terra", ossia le colonne che sorreggono quella piattaforma. Ovviamente il nostro interesse è di altro genere rispetto a quello di uno storico della scienza:  il nostro è, infatti, un approccio squisitamente ermeneutico ed è orientato a isolare la sottesa concezione dell'essere cosmico. La Bibbia procede a una vera e propria operazione di "demitizzazione" dei materiali cosmologici che assume dalle culture circostanti. Nel celebre poema accadico-babilonese Enuma Elish l'impostazione è, infatti, cosmogonica:  il cosmo è concepito come frutto di una lotta teogonica e intradivina. Il dio vincitore Marduk diventa creatore e riduce a materia l'antagonista Tiamat, la divinità "abissale" negativa sconfitta, mentre la stessa creatura umana nasce dall'impasto della polvere della terra con il sangue del dio Qingu, un'altra divinità ribelle. Si ha, quindi, una concezione che potremmo definire panteista, in altra forma sottesa anche alla divinizzazione "solare" operata in Egitto (Horus, Amon, Aton e così via che incarnavano il sole divinizzato).

LA PROVOCAZIONE DELL'ARTE

Studente di teologia alla Pontificia Università Gregoriana, ero anch'io in piazza San Pietro l'8 dicembre 1965, quando i Padri a chiusura del concilio Vaticano ii lanciarono, tra i vari messaggi alle diverse categorie sociali e professionali, queste parole agli artisti:  "Il mondo in cui viviamo ha bisogno di bellezza per non oscurarsi nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che mette la gioia nel cuore degli uomini, è il frutto prezioso che resiste all'usura del tempo, che unisce le generazioni e le congiunge nell'ammirazione. E ciò grazie alle vostre mani".

IL TEMA DELLA VOCAZIONE NELL'ARTE: MONACI, FRATI ED EREMITI

Il nuovo modo di vedere e sentire sviluppatosi nella Chiesa d'epoca patristica - lo stile che potremmo chiamare mistagogico - corrisponde a una vocazione allora altrettanto nuova, quella eremitica o monastica. Il caso esemplare è la vocazione di sant'Antonio abate, avvenuta mentre ascoltava la proclamazione del vangelo alla messa.
 
L'evento, narrato dal biografo di Antonio, sant'Atanasio, viene descritto visivamente 1150 anni più tardi in una piccola tavola oggi a Berlino, opera dell'artista senese noto come il maestro dell'Osservanza, dove vediamo il giovane in piedi che ascolta mentre il celebrante legge il testo sacro. Atanasio insiste sulla situazione esistenziale del santo:  i suoi genitori erano morti da meno di sei mesi e Antonio si domandava che fare con la propria vita, "riflettendo sulla ragione che aveva indotto gli apostoli a seguire il Salvatore dopo aver abbandonato ogni cosa". Ragazzo religioso, aveva la consuetudine di recarsi alla messa - dice Atanasio - e "meditando queste cose entrò in chiesa proprio mentre si leggeva il vangelo e sentì che il Signore aveva detto a quel ricco:  "Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi, e avrai un tesoro nei cieli"" (Matteo, 19, 21). Allora Antonio, come se il racconto della vita dei santi fosse stato presentato dalla provvidenza e quelle parole fossero state lette proprio per lui, uscì subito dalla chiesa, diede in dono agli abitanti del paese le proprietà che aveva ereditato... e si dedicò nei pressi della sua casa alla vita ascetica, e cominciò a condurre con fortezza una vita aspra, senza nulla concedere a se stesso" (Vita Antonii, Patrologia Graeca, 26, 842-846). Ecco l'ascolto acutizzato dalla fede, che fa penetrare la Parola del Signore fino al midollo, cambiando la vita di chi crede; per quanti sacerdoti e religiosi non è successo esattamente come per sant'Antonio nel dipinto, durante la messa, ascoltando e guardando un sacerdote che celebra, con la croce e il calice in piena vista!

IL PIENO INGRESSO DI SAN GIUSEPPE NELL'ICONOGRAFIA SI REGISTRA A PARTIRE DAL V SECOLO

L'arte cristiana dei primi secoli sembra dimenticare la figura di Giuseppe. Il fenomeno è stato spiegato riconducendo la formazione del più antico repertorio figurativo cristiano a una intenzione significativa di ordine eminentemente cristologico. Persino le prime scene di Natività pongono al centro della rappresentazione il Bambino, sorretto da Maria, anch'essa attrice coprotagonista e, spesso, ridotta a mera "chiave di lettura" dell'episodio evangelico, assurgendo al ruolo di "seggio" o di "cattedra", sulle cui ginocchia siede il piccolo re.

Eppure del padre putativo di Gesù, i vangeli (Luca e Matteo) rievocano dettagliatamente la genealogia come per collocare nella storia umana e nella discendenza di Abramo e di Davide la nascita del Cristo. Altre notizie provengono da Marco (6, 3) e ancora da Matteo (13, 55) che definiscono Giuseppe come tèkton, una professione di larga accezione, che tocca l'attività del carpentiere, del falegname, ma anche del faber o del maniscalco.

CARATTERI E CONTESTI DELLE SEPOLTURE PALEOCRISTIANE

Rispetto alle consuetudini funerarie elaborate dalle civiltà antiche e, specialmente, dall'esperienza ellenistico-romana, la prassi funeraria paleocristiana presenta immediatamente caratteri e tendenze che conducono verso sistemi sepolcrali più uniformi, omogenei ed egualitari. Tali caratteri dipendono proprio da un mutamento di mentalità, ma anche di ritualità, che comportano, ad esempio, l'uso esclusivo dell'inumazione, la quale, come è intuitivo, dà luogo a un primo livellamento delle tipologie funerarie, che abbatte quell'articolazione delle morfologie sepolcrali provocate dalla coesistenza dell'incinerazione e della inumazione e, dunque, dei contenitori dei resti umani, ora ridotti a semplici urne cinerarie, ora a più importanti monumenti che, dall'umile fossa, giungono al solenne mausoleo.

LA SFIDA DELLA LITURGIA ALL'ARTE CONTEMPORANEA. CONTRO LA MALATTIA DI NARCISO

Di generazione in generazione l'arte aiuta alla sua edificazione, nei due sensi del termine. Con altri ricercatori e teologi io vedo l'attività artistica come un carisma donato a certe persone, così come sono carismi la capacità di analizzare, di insegnare, di consolare, di formulare, di redigere, di curare, di cantare per il bene dell'altro. E tutti i carismi sono donati al "portatore" in vista della costruzione della comunità umana e/o ecclesiale.
L'attività artistica è attesa dalla Chiesa, certo non come qualcosa di dovuto ma quasi. Tuttavia un carisma non è donato a tutti; e il carisma particolare che abilita a operare per le comunità dei credenti dovrebbe essere oggetto di un discernimento specifico.

EL CIRIO PASCUAL

El fuego ha sido por largo tiempo un signo de la presencia de Dios. El Antiguo Testamento está lleno de ejemplos: la zarza ardiente en el Monte Sinaí, la columna de fuego en el desierto, las luces de las lámparas del tabernáculo, y el fuego sacrificial en el altar del templo de Jerusalén. Los primeros cristianos con mucha naturalidad y en forma semejante utilizaron el fuego nuevo como un símbolo de la presencia de su Señor resucitado, la nueva columna de fuego.
En Jerusalén, los primeros cristianos bendecían y encendían velas todos los sábados a la noche. Alrededor de finales del siglo quinto o sexto, esta costumbre llegó a relacionarse con la celebración de la Resurrección, y el cirio pascual encontró su camino de incorporación a la celebración litúrgica en la iglesia de occidente.

EL TURÍBULO

El incienso es una resina obtenida con la incisión del tronco de diversos árboles del género Boswellia (es un género de árboles conocidos por sus resinas aromáticas, las cuales tienen muchos usos farmacéuticos, particularmente como anti inflamatorios. El incienso Bíblico fue probablemente un extracto de la resina de Boswellia sacra). Si se enciende y se quema, el incienso produce un humo negro y desagradable: necesita ser colocado sobre las brasas para que emita un humo blanco con su olor característico. Por esto no se dice quemar el incienso, sino hacerlo humear.